Sergio Rubini torna alla regia con Il grande spirito, all'Araldo da giovedì 9 maggio; il film racconta in forma metaforica la vicenda dell'Ilva di Taranto. Rubini non perde la sua vis polemica, o la sua voglia di fare cinema "contro". L'incontro fra il suo personaggio, Tonino, ladruncolo in fuga dai picciotti del quartiere, e Renato, un "minorato mentale" che in realtà si rivela molto più saggio di chi gli sta vicino, è poetico e ispirazionale, pensato per indicare ai tarantini - a agli italiani di oggi - una strada per uscire dall'impasse etica (ed estetica) in cui siamo intrappolati. Tonino è un ladruncolo sempre in cerca del grande colpo di fortuna: che sembra finalmente arrivare quando il bottino di una rapina, per cui lui era stato relegato al ruolo di palo, finisce fortuitamente nelle sue mani. Tonino fugge con la refurtiva sui tetti di Taranto e trova rifugio in un abbaino fatiscente abitato da uno strano personaggio: Renato, che si è dato il soprannome di Cervo Nero perché si ritiene un indiano, parte di una tribù in perenne lotta contro gli yankee. Renato, come sillaba sprezzantemente Tonino, è un "mi-no-ra-to", ma è anche l'unica àncora di salvezza per il fuggitivo, che tra l'altro si è ferito malamente cadendo dall'alto di un cantiere sopraelevato. Fra i due nascerà un'intesa frutto non solo dell'emarginazione, ma anche di un'insospettabile consonanza di vedute.