C'è l'ospedale di Cariati in provincia di Cosenza chiuso da dieci anni e ora occupato da Michele, Cataldo, Ninì, U'Massaru e l'altro Cataldo. C'è lo sterminio compiuto in Indonesia tra il 1965 e il 1966 dove furono uccise quasi un milione di persone. Ci sono Davos e il "Washington Consensus". Ma qual è il filo invisibile (del mercato) che lega attraverso il tempo e lo spazio eventi apparentemente così lontani tra loro? Uno e soltanto uno: il capitalismo. In qualunque forma lo si voglia assumere, neo-liberista, post-coloniale o globalista che sia.
Così la lotta per la riapertura del presidio sanitario calabrese è solo un'altra barricata contro lo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale; la presa del potere di Suharto a Giacarta la prova generale dei colpi di stato manu americana in terra cilena e argentina; le politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale una nuova forma di controllo sulle nazioni non-occidentali. Tutto è capitalismo.
La tesi è fornita da Ivan Cavicchi, Vittorio Agnoletto, Randall Wray e Nicoletta Dentico, la sintesi dagli occupanti dell'ospedale di Cariati
Certe volte è più facile aprire un ospedale a Kabul. La Calabria Saudita, la Calafrica, il Calabristan. Propaggine estrema dello stivale italiano, punta e tacco conficcati a fondo nella pozza del Mediterraneo, la Calabria è quell'arto non ancora amputato ma oramai in mortale cancrena di una nazione di santi, poeti e navigatori incapaci di pacificare, cantare ed esplorare un territorio che sta lì da sempre e da sempre resiste contro tutto e tutti.