20 anni dopo Trainspotting, molte cose sono cambiate, ma altrettante sono rimaste le stesse. Mark Renton (Ewan McGregor) torna all'unico posto che da sempre chiama casa. Lì ad attenderlo ci sono Spud (Ewen Bremner), Sick Boy (Jonny Lee Miller), e Begbie (Robert Carlyle), insieme ad altre vecchie conoscenze: il dolore, la perdita, la gioia, la vendetta, l'odio, l'amicizia, l'amore, il desiderio, la paura, il rimpianto, l'eroina, l'autodistruzione e la minaccia di morte. Sono tutti in fila per dargli il benvenuto, pronti ad unirsi ai giochi.
Danny Boyle non cerca di ricatturare il vitalismo dell'originale del 1996, né può sperare che il suo sequel abbia lo stesso effetto deflagrante: ci propone invece un film più intimo, riflessivo e affettuoso nel commiserare le sorti dei suoi personaggi, ma anche molto divertente in alcuni momenti.
Il regista invita tutti a essere spettatori di una rimpatriata nostalgica ben confezionata sia nelle immagini che nella scelta della colonna sonora (un misto di vecchio con i Queen, Frankie Goes To Hollywood, Blondie e il nuovo con Young Fathers e Wolf Alice). È come tornare nella propria stanza d’infanzia. Ritrovarsi lì vent’anni dopo fa venire una forte malinconia, e allora noi – come Renton – tiriamo fuori un vecchio disco, lo appoggiamo sul giradischi, abbassiamo la testina sul piatto e riascoltiamo una musica che sprigiona emozioni fortissime, che ci trascina in un tunnel di ricordi, ma che al contempo suona come già passata, già finita...