Un giornalista va a trovare l'ex-first lady per un'intervista destinata a fare il giro del mondo. Sarà la sua di versione, pacata e tutt'altro che controversa, di quanto accaduto quel giorno a Dallas. Ma soprattutto di ciò che ne è seguito. Il regista Pablo Larrain si concentra sui tre giorni successivi, ancora una volta disinteressandosi di alcun rigore cronologico per tuffarsi a capofitto su una progressione di tipo emozionale. Il suo è un racconto che procede per sensazioni, non introspettivo, attenzione, bensì evocativo: la musica detta il tempo, il montaggio segue in accordo. Ciò che deve emergere è la complessità di una situazione che per la diretta interessata vira vertiginosamente in tragedia. La Portman regge benissimo il peso di un ruolo che presentava i suoi ostacoli. Il titolo non è casuale, infatti, dato che tutto ruota attorno a lei; la macchina da presa le si posa addosso costantemente con grazia e discrezione, pur non lesinando primi piani stretti. La segue per restituircela quanto più integra possibile, nella sua debolezza e fragilità, che diventano, come sovente accade, le componenti mediante le quali riusciamo a scorgere con maggiore chiarezza il personaggio. Jackie è peraltro film che di americano ha proprio il suo soffermarsi su una prova di resistenza inizialmente al di là delle forze di chi la affronta, salvo poi venirne a capo un po' per forza di volontà un po' per quel senso di responsabilità tanto celebrato in certi circoli, oltre che iscritto nel DNA culturale. Candidato a tre premi Oscar tra cui: Miglior attrice protagonista.